Pensieri circolari

se i pensieri vanno dritti spesso sbagliano mira

16/02/10

Oltre i cortei e le elezioni

Qualcuno pensa ancora che la degenerazione dell'Italia attualmente in corso possa essere fermata con cortei e elezioni.
Alla fine dell'ottocento i lavoratori, gli sfruttati di allora, hanno cominciato a capire che serviva un lavoro più profondo, di formazione e organizzazione, di diffusione delle conoscenze e delle basi etiche. Bisogna riprendere da allora ma evitando le derive ideologiche pur vaccinandosi dall'invadenza dei profittatori. Un lavoro lungo, di generazioni.
In questa maniera sono riusciti a mettere in discussione il privilegio dei ricchi su tutti gli altri. Ma con gli anni i ricchi hanno capito che dovevano organizzarsi per riprendere il predominio. Dopo un po' di tentativi mal riusciti (golpe Borghese) e di contraccolpi sfruttati al meglio (terrorismo) hanno sostenuto la Lega e Berlusconi, fatto la P2 e tutto il resto. Adesso tocca agli sfruttati riequilibrare le cose se non vogliono rimanere schiacciati per decenni

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23/10/09

Per mettersi in mezzo (12)

26/7/09
La notte è passata bene. I piedi sono ancora da lebbroso. Non sono riuscito a guadagnarmi un letto visto che siamo in tanti ma almeno un materassino sistemato in cucina me lo sono meritato. Stamattina con Fede sono andato dai cappuccini per la messa in italiano con caffè. Il celebrante era un ospite un po' saputo e presuntuoso mentre il frate che ci ha accolto era veramente caloroso. Fa effetto sentire leggere i racconti del vangelo pensando che si sono svolti dietro l'angolo. Oggi mi immaginavo le folle che  si sedevano per ricevere pane e pesce tra le colline vicino a Tuba. Dopo la messa offrono il caffè ai presenti e Fede ha parlato con un funzionario dell'ambasciata per vedere di risolvere il suo problema del visto che dura solo un mese.
Ho raggiunto gli altri per andare a visitare il Museo dell'Olocausto. Quando sono arrivato però mi dicono che dovrebbe esserci un cambio di programma perché dovrebbero processare Nasser stamattina e saremmo andati al tribunale per essergli vicino. Poco dopo, però, arriva il contrordine perché il processo sarà al tribunale militare di Ramallah. Non si pone neppure il problema se andare o meno dato che nel tribunale militare non fanno entrare gli internazionali. Così un po' preoccupati per Nasser andiamo al museo. In un parco alla periferia di Gerusalemme hanno creato uno spazio museale mastodontico. Mi sono immerso nella sezione storica. Dopo quattro ore ne ho visitato solo metà e i custodi mi guidano verso l'uscita perché il museo sta chiudendo. E' organizzato cronologicamente a partire dalle discriminazioni razziali per arrivare ai tempi dell'esodo verso la Palestina. Sono storie sentite molte volte ma non così estesamente. Uno dei ragionamenti che più mi ha fatto effetto è di constatare che molte delle misure previste nelle leggi razziali che discriminarono gli ebrei sono molto simili a quelle che stanno vessando i palestinesi dei Territori Occupati. Per esempio l'impossibilità di lavorare o di commerciare, la limitazione di movimento entro spazi riservati. Quando ho visto la panchina non per gli ebrei mi è venuta in mente la trovata del leghista che voleva fare panchine solo per i padani.
Mi inorridisce la storia del ghetto di Lodtz dove il capo del ghetto ad un certo punto ha ricevuto l'ordine di ridurre il numero dei presenti nel ghetto e questo si è preso la briga di fare un lungo ragionamento che prevedeva che tutti i malati e i bambini sotto i 10 anni venissero sacrificati per salvare la vita di tutti gli altri. Viene presentato come un rinnegato e venduto al contrario del capo del ghetto di Varsavia che in una simile situazione si è suicidato. Penso che neppure la storia possa dire chi ha avuto ragione. Nella parte finale guardo al volo la parte che narra degli episodi di partecipazione degli ebrei alla resistenza come premessa alle stanze in cui si parla della nascita dello stato di Israele.
Alla fine quando esco scopro che Fabio è più di un'ora che mi sta aspettando ma dato che il museo è sotterraneo non è stato in grado di chiamarmi sul cellulare. Mi minaccia scherzosamente vendetta.
Torniamo a casa che gli altri sono già partiti. Ci chiama Fede per dirci che la marcia dal villaggio a Tuba è prevista per domani mattina alle 9. Fra e Ale sono eccitati, vogliono partire per esserci. Temo ancora una volta la sveglia all'alba ma all'ultimo si decide che andrò nel pomeriggio con Ilaria a perderci in due per i Territori Occupati

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22/07/09

Per mettersi in mezzo. (7)

21/7/09
Ieri sera era prevista una riunione di condivisione tra i due gruppi di volontari che convivono nel villaggio. Uno è il gruppo a cui partecipo io che è formato solo da italiani e l'altro invece è formato da nordamericani.. I due gruppi lavorano coordinati dividendosi i diversi compiti di accompagnamento e scorta. Purtroppo è più facile far fare pace agli altri che fare pace con chi si ha vicino. Tra i due gruppi c'è un po' di tensione e una delle due americane presenti ha condiviso la cena scrivendo per tutto il tempo al computer. Alla riunione degli italiani che è seguita ci siamo detti un po' come stiamo. Qualcuno è stanco, i ragazzi che stanno con i bambini sono un po' delusi perché non si sentono valorizzati, io sono un po' scocciato di sentirmi continuamente dire come dovrei essere vestito e come dovrei comportarmi con gli uomini e con le donne. Ci sto facendo un po' le misure ma è veramente noioso dopo aver “lottato” per una vita per vedermi riconoscere il diritto di essere vestito male come voglio adesso mi trovo costretto da un mare di regole e norme a comportarmi in maniere che trovo assurde per non scandalizzare le persone del luogo.
Alla fine della riunione bisogna decidere i compiti per l'indomani. Mi chiedono se ho voglia di andare in un villaggio a un'ora di cammino dal nostro villaggio per fare da testimoni nel caso la polizia intervenisse presso dei palestinesi che vogliono costruire. Si sa che si deve partire presto ma non si sa quando si ritorna. Io mi preoccupo a stare sotto il sole diretto del deserto per troppe ore. Già la volta scorsa quando sono tornato nel primo pomeriggio dopo la mattina ad accompagnare pastori mi sentivo in ebollizione e la pelle delle mani, nonostante la crema protezione 50, cominciava ad essere arrossata col rischio di farmi stare male per i giorni successivi. Condivido questa mia preoccupazione perché non vorrei creare problemi il giorno dopo a chi è con me a svolgere il mio compito. Mi sembra che Fra sia preoccupato ma Miki insiste perché ci vada io invece di lui. Non so se lo fa perché vuole lasciarmi la possibilità di vivere l'esperienza (anche se non ambisco più di tanto di trovarmi nei casini) o perché non ha voglia di passarsi una giornata a cuocere. Alla fine rimaniamo d'accordo io e Fra: sveglia alle 6 e partenza alle 7.
La notte cambio di nuovo posto, mi metto in un punto un po' ventoso, fuori nello spiazzo con i tappi per le orecchie. Durante il giorno infatti non si sente un cane abbaiare ma durante la notte si scatena il finimondo. Ogni mezz'oretta i cani cominciano ad abbaiare e vanno avanti per parecchio rispondendosi con l'intermezzo saltuario degli asini che ragliano e l'accompagnamento mattutino dei galli e di uno stormo di passeracei che ha pensato bene di fare un condominio di nidi nella soletta della casa sopra la nostra. Alla fine dormo senza punture ma la mattina sono un po' rattrappito dal freddo.
Dopo le lunghe abluzioni mattutine partiamo. Quando arriviamo all'altro villaggio andiamo a cercare Id. Parla bene inglese, l'avevo incontrato all'azione lungo la strada e mi aveva parlato ma pensavo fosse di Ta'yush, l'organizzazione pacifista israeliana. Ci fa sedere e ci offre l'immancabile te. Ci racconta che ha chiesto il nostro intervento perché nel villaggio vogliono costruire undici latrine. Il villaggio è abitato da beduini ed è formato da recinti coperti da tende o da blocchi di cemento di due stanze. Ma non c'è il bagno e neppure la latrina. Per i loro bisogni si allontanano nel deserto. Ma ogni tanto è successo che qualche colono ha inseguito chi cercava di fare i suoi bisogni nella landa desolata. Così vogliono costruire delle latrine tra le case del villaggio ma sono senza autorizzazione. Il villaggio è stato letteralmente circondato da una colonia israeliana che ha le sue reti di recinzione che corrono a meno di 10 metri dalle case dei palestinesi, molto più vicina di quanto sia vicino il villaggio dove è la nostra casa alla colonia vicina.
Le undici latrine verranno costruite in due fasi. Prima i palestinesi faranno i buchi per terra e poi una associazione spagnola che paga anche i lavori di scavo manderà dei volontari che in una settimana costruiranno le latrine. Ma tutto questo senza autorizzazione. Per questo Id ci ha chiamato, vuole che restiamo con loro nel caso venga la polizia ad impedirgli di proseguire lo scavo. Noi dovremo solo fare i testimoni, cosa che probabilmente già servirà ad impedire l'arresto.
Fortunatamente i lavori sono in mezzo alle case per cui la paura del giorno prima era infondata. Non saremmo rimasti al sole per tutto il giorno, anzi poco dopo che ci siamo seduti all'ombra osservando un signore basso e corpulento che maneggia un martello pneumatico arriva il secondo te della giornata.
Dopo una mezz'ora arriva una macchina della polizia della colonia che da dentro si ferma ad osservare. Gli operai continuano a lavorare seminascosti da alcune coperte ma il rumore del compressore e del martello pneumatico è molto alto. A noi ci chiedono di rimanere seduti e defilati anche se subito mi ero messo a filmare in direzione della colonia facendo il vago per arrivare a filmare l'auto della polizia. La polizia poi se ne va lasciando in ansia tutti.
Ogni tanto, quando si avvicinava qualche mezzo sospetto io e Fra tiravamo fuori la videocamera. Sembravamo due pistoleri col le loro amate pistole. Anche Id ci scherza sopra. In effetti queste telecamere per questi palestinesi sono armi potenti, che li fanno sentire sicuri.
Il resto del giorno però passa in una condizione atarassica. Nello stupore di Id non si fa vedere più nessuno, né polizia né militari. Anche volessimo dare una mano ci viene chiesto di rimanere estranei ai lavori per poter essere meglio semplici testimoni. Noi stiamo sotto una tenda a parlare con qualcuno dei figli della famiglia a cui stanno costruendo la latrina (non ne mancano perché sono 8 figlie e 11 figli) e ogni tanto ci portano un te. A pranzo ci offrono un piattone con un imbrogliata di pane arabo e verdure condite con molto olio e pecorino, molto gustoso.
A metà pomeriggio un piccolo momento di tensione perché una jeep e due humvee (grossi jeepponi militare larghi larghi) che in mattinata erano passati senza fermarsi al ritorno si fermano vicino al villaggio e i militari scendono. I palestinesi sono un po' preoccupati anche se ci dicono che per loro è una cosa abituale vedere questi veicoli fermarsi al villaggio vista la loro vicinanza alla colonia. Anche la pattuglia militare però poco dopo riparte senza disturbare il lavoro di scavo che avanza.
Intanto che siamo lì una delle bambine di quattro o cinque anni, una vera bambolina bisquit, si avvicina a me e comincia ad sfiorarmi la testa calva (che da queste parti è una vera rarità riservata solo alle persone molto anziane). Io mi metto a scherzare con lei ed arriviamo quasi a sfiorarci il naso. A quel punto però uno dei suoi fratelli di uno o due anni più grande di lei comincia a sgridarla e a darle anche dei colpi. Io cerco di dirgli di non farlo. Quando poi la bimba si riavvicina a me nuovamente il fratello riparte alla carica per allontanarla. Di nuovo cerco di dirgli di lasciarla stare ma si sente investito di un compito superiore. E la bambina si allontana con un visino che era un enorme punto interrogativo. Non so se alla fine si metterà il velo sperando di trovare un marito che la terrà in casa a lavorare e a fare figli o se invece lascerà la sua casa per emigrare in qualche altro paese in cui essere libera di relazionarsi con persone dell'altro sesso senza essere redarguita, ma sicuramente non stava capendo cosa c'era di male nella sua voglia di affetto e di comunicazione.
A tardo pomeriggio, quando il buco della prima latrina è completato e i beduini si stavano apprestando ad attaccare il secondo noi dobbiamo partire. Ci chiedono di tornare il giorno dopo e magari anche di dormire lì in modo da poter avere qualcuno anche se continuano a scavare la sera. Si vede che ci tengono molto alla presenza internazionale.
Lungo la strada Fra rimane un po' indietro e alla fine, quando gli dico che abbiamo messo 50 minuti mi dice “Un record di velocità. Meno male che avevi paura di non farcela”. In fondo un beduino si era stupito quando gli ho detto che avevo 51 anni dicendomi che me ne aveva dati al massimo 30, bontà sua, anche se in effetti i trentenni di qui sembra che abbiano 50 anni. La vita da queste parti ti consuma presto.

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Per mettersi in mezzo. (6)


20/7/09
Oggi tutto tranquillo. La notte sono stato assalito da insetti mordaci (non penso siano zanzare perché con l'assenza di acqua che c'è sarebbe assurdo ci fossero zanzare). Ho accompagnato i bambini al “gate”, il cancello dell'insediamento dalla parte del villaggio dove i militari riconsegnano i bambini la mattina La stanchezza ammutolisce tutti, si sta lunghi minuti nel silenzio. Oggi i militari hanno fatto tutti il percorso a piedi, lasciando la jeep da qualche parte. Di solito uno o due scendono ma gli altri fanno tutto il percorso in jeep. Sono ragazzini, vent'anni o poco più, anche il loro capo ne avrà al massimo venticinque. Facce pulite e mitra imbracciato davanti.
Mi metto a fare da mangiare per chi ritorna. Me la sono cavata anche senza molta acqua. Risotto con peperoni cipolle menta e cannella. Ci sono anche due ospiti, una italiana e un inglese che stanno facendo una ricerca per una università britannica. Gli spiegherò che non è cucina italiana, mi assumo pienamente la responsabilità.
All'ora di pranzo però c'è un po' di emergenza. Sono arrivati dei mezzi militari e dell'autorità civile per fare foto e controllare alcuni edifici che gli abitanti del villaggio stanno costruendo. Hanno deciso di costruire delle case che sanno verranno distrutte perché senza autorizzazione. In teoria sono case per gli attrezzi o per ospitarli quando vanno a lavorare nei campi. Come fanno i coloni che continuano a costruire strutture temporanee che poi a poco a poco si trasformano in edifici permanenti anche loro si sono messi ad aumentare la dimensione dei loro insediamenti. In pratica bisogna vedere se riusciranno mai ad usarle.
In effetti ne avrebbero anche un buon motivo. Ieri a Tuba ho provato a chiedere quanti figli avessero. Hibraim ha sette figli e quattro figlie (un po' preoccupate perché non hanno ancora trovato marito) mentre Omar, che ha solo 42 anni, ha 6 figli e 4 figlie e vive nella grotta costruita dal padre. Ovviamente qualcuno è già andato via a lavorare, ma gli altri sono ancora a casa a fare tutti i lavori necessari e un posto dove dormire gli servirà bene. La prima volta che sono arrivato al villaggio mi sembrava un non luogo, un po' di muri a secco e qualche strada, non riconoscevo la struttura antropica più di tanto, ma una volta tornato da Tuba, fatto di tende e grotte, quando ho visto il villaggio mi sembrava quasi una metropoli.
Al controllo della case si è aggiunto poi un check point volante all'ingresso del villaggio. Eleonora e Ilaria sono andate a vedere.
Alla fine gli abitanti del villaggio sono andati dagli edifici in costruzione. La polizia ha consegnato un documento che proibisce di continuare a lavorare. E' la premessa dell'ordine di demolizione. Nella protesta alla fine la polizia ferma Nasser e lo porta a Hebron. Dovrà pagare una cauzione per uscire.
Di tutto questo però me ne parlano gli altri perché io sono dovuto restare dalla casa a presidiarlla in caso di altre emergenze. La sera, dopo una giornata intera dalla casa, vado a fare un giro sulla collina alle spalle del villaggio. La brezza è dolce, il tramonto delicato, il panorama folle: un villaggio di pastori e contadini uscito dalla preistoria con lo sfondo una specie di villaggio turistico di casette allineate. E il resto è deserto.


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Per mettersi in mezzo. (5)

19/7/09
Stamattina sveglia alle 5. Un dramma. Dobbiamo andare io e Ale a Tuba per accompagnare i bambini che vanno alla summer school. Li prendiamo al villaggio e andiamo con loro, uno in cima e uno in fondo, fino ad un angolo da cui vediamo i militari che la Knesset, il parlamento israeliano, ha decretato li debbano accompagnare fino alle porte del villaggio. Il motivo è semplice. Nel tratto di strada che porta da Tuba al villaggio i coloni della colonia israeliana vicina spesso li assalivano con bastoni e catene. Per un certo periodo i volontari internazionali li hanno accompagnati ma dopo una volta che i coloni fecero parecchio male a volontari e bambini la Knesset ha stabilito che sarebbero stati i militari israeliani ad accompagnarli. I coloni in questo periodo hanno attaccato anche i militari, ma con un po' più di discrezione.
Siamo arrivati a Tuba e alle 6:10 c'erano già parecchi bambini, qualcuno proveniente da un accampamento lontano qualche chilometro in più. Tre cammelli se ne stanno comodamente assisi nei campi. I bambini sembrano usciti dalla lavanderia, tutti con le loro magliette e pantaloni puliti, le bimbe più grandi con il velo e qualche maglietta in più per evitare il pericolo che un pezzettino di pelle possa spuntare. E invece vengono tutti da accampamenti di tende o da grotte scavate nella roccia calcarea. Mio figlio, nonostante l'acqua corrente e la lavatrice è spesso più sporco.
Ad un certo punto vediamo passare la jeep dei militari e ci avviamo verso il punto dello scambio. I militati per paura di essere aggrediti lontani dal loro mezzo in un tratto che può essere fatto solo a piedi evitano di arrivare al punto che ha stabilito la Knesset. Anche noi ci fermiamo in un punto da cui si vedono i militari per non oltrepassare il percorso sotto giurisdizione dei militari perché i coloni la considererebbero una provocazione e così i bambini devono fare un centinaio di metri da soli a rischio delle aggressioni dei coloni sotto il nostro sguardo che, per quanto vigile, è solo uno sguardo. Arrivati dai militari i bambini vanno fino al cancello vicino al villaggio dove ci saranno altri volontari ad accoglierli. E questo ogni mattina che c'è scuola o c'è il summer camp. E all'ora di pranzo dovremo fare il contrario. Finito l'impegno con i bambini passiamo all'accompagnamento dei pastori. Sono le 7 e mezza e la giornata è già cominciata da un po'. I pastori sono già partiti da un pezzo, prima che faccia troppo caldo. Bisogna andare a cercarli tra le colline. Nel posto solito non ci sono, continuiamo a girare per le colline finché ad un certo punto sentiamo un belato. Mi avvicino e vedo il pastore che si sbraccia. Devo rispondere subito con un ampio saluto per rassicurarlo che non sono un colono ma un amico. Quando li raggiungiamo troviamo i due pastori, uno giovane e un anziano che di solito non porta mai le bestie al pascolo. Il giovane parla inglese e riesco a parlare un po' con lui. L'anziano ha la stessa voglia di parlarmi e non desiste a chiedermi le cose anche dopo che gli dico “Ana ma teke arabi”. Come io non so l'arabo lui sa solo quello ma cerca in ogni modo di parlarmi. Purtroppo alla mia età non riuscirò più ad impararlo ma in questi giorni mi viene una voglia matta di farlo. Le lingue bisogna impararle da giovani, quante più possibili.
Giriamo per qualche ora tra le colline. E così capisco la storia di Davide e Golia. Da queste parti dove i cani sono animali impuri, per guidare le greggi si prendono pietre da terra che mai ne mancano e si tirano vicino alla bestie per distrarle dal continuare a mangiare le piante. I bambini pastori sono dei veri campioni di lancio della pietra, che sia per gestire gli animali o per centrare gli humvee dell'esercito israeliano.
Le pecore e le capre si mangiano questi cardi e cespugli pieni di spine come se fosse lattughina tenera. Le fibre non gli mancano. Tornati a casa berranno l'acqua che i pastori tirano dalla cisterna con meno parsimonia che per sé.
Ma prima di tornare a casa, sulla via del ritorno, mi attardo un po' e scendendo un costone per attraversare un huadi, secco come sempre, sento un rumore di pietre dietro di me.
Mi volto e vedo due persone correre a salti incontro a me. Quando vedono che mi sono voltato si mettono a urlare sbracciandosi come fosse un gioco notturno di paura. Ma sono le 11 del mattino e il sole spacca le pietre a 35 gradi all'ombra e nei giochi notturni non c'è qualcuno che tira pietroni da mezzo chilo in direzione degli avversari..
Urlo ad Ale “Arrivano”. Lei sulle prime pensa sia uno dei miei scherzi e gli viene in mente il pizzaiolo di casa sua quando avverte per le pizze in ritardo. Ma non sono due pizze, sono due coloni che vogliono minacciare i pastori palestinesi. Pochi secondi per decidere cosa fare. Ale mi urla “Scappa!” ma io osservo che non hanno né armi né bastoni in mano. Decido di fermarmi per proteggere la fuga di Ale e dei pastori. Quando mi arriva vicino il primo chi chiedo “What's the problem?” con la mani basse aperte in avanti. Arriva urlando e quando il suo viso è a non più di venti centimetri dal mio si ferma. Lo guardo negli occhi, dei bellissimi occhi celesti bordati di blu. Ha un fazzoletto come i black block ma bianco che gli copre il volto e lascia intravedere quel suo punto così debole che gli impedisce di ignorare la mia umanità. Avrà tra i 15 e i 18 anni, un po' come i miei studenti, un po' cazzone e un po' sbruffone come loro, alla ricerca di se stesso. Rimane muto mentre l'altro, un po' attardato urla ancora un po' e poi si zittisce anche lui. Anche l'altro ha il volto coperto ma di nero, proprio come i black block di G8ttiana memoria. Il “bianco” mi fa segno di andare via, quasi un invito, un consiglio, in ebraico e con le mani. Io mi volto e senza correre mi avvio continuando la mia strada. Non so cosa stanno facendo, non so se stanno raccogliendo delle pietre per lanciarmele nella schiena o se invece se ne stanno andando via ma non mi volto, non voglio fargli credere che per il loro intervento ho smesso di fare quello che facevo e spero che il “sia fatta la tua volontà” che ho pregato per santificare la festa corrisponda alla mia volontà.
I pastori e Ale sono scappati avanti con il gregge, poi lei e il pastore giovane si sono messi a riprendere la scena da lontano. Quando li raggiungo mi chiedono come sto. Tutto bene, e continuiamo a camminare fino a Tuba. Il pastore giovane guarda Ale e ricordando per la prima volta il mio nome le dice in arabo “Carlo è forte”. 1000 punti da parte.
Dobbiamo aspettare che i bambini ritornino dal summer camp così per non cuocere al sole la figlia del pastore anziano, occhi chiari e sorriso bellissimo, ci invita sotto una tettoia di tela che fa da soggiorno e da camera da letto. Il padre viene dopo un po' e lei le sistema un piccolo materasso. Ale fa vedere il video dell'aggressione dei coloni a tutti e poco dopo ci offrono una aranciata fatta con l'acqua del pozzo e dello sciroppo. Forse sto rischiano più di prima coi coloni ma la bevo tutta. Ale tituba ma quando arrivano col te alla salvia la invitano a bere prima l'aranciata, non può rifiutarsi. Prima di andare verso l'appuntamento con i bambini passiamo dalla famiglia del pastore giovane. Col figlio che parla inglese è più facile chiacchierare. Vivono in una grotta scavata in 40 giorni dal nonno nel 1967, poco prima della guerra. Venivano da un'altra parte della Palestina e hanno avuto la sfortuna di finire dove qualche anno dopo avrebbero costruito la colonia. Ci offrono uno spuntino, pane, pomodori, cetrioli sottaceto e un formaggio secco che a vederlo sembra gesso da ginnasti. Ale suppone che per loro non abbiano molto di più da mangiare e mi limito a pizzicare qualcosa per non offenderli ma loro insistono. Mi spiegano che vendono il formaggio a 10 euro al chilo e me ne offrono un pezzettino da portare via.
Alla fine decidiamo di andare verso l'appuntamento dei bambini. Aspettiamo che ci diano il segnale che i militari sono arrivati a prelevarli prima di avvicinarci. Al quarto richiamo finalmente i militari arrivano. Noi gli andiamo incontro e scopriamo che a fianco del percorso c'è un colono che cura le viti. Questa volta ha altro da fare e i bambini corrono veloci verso casa. Finalmente alle 13 siamo sulla via di casa cotti dal sole.
La sera prima di cena Fra e Miki che stavano andando a Tuba per dormire nella grotta dei pastori che hanno paura di attacchi notturni incontrano i coloni che li inseguono. Loro fuggono nella valle e ci chiamano per farsi dare un aiuto. Io e Ele corriamo in cima alla collina per dargli indicazioni sulla posizione dei coloni. Loro incontrano un pastore sull'asino che si è allontanato dalla strada quando ha visto il pickup dei coloni. Alla fine continuano alla volta di Tuba e noi torniamo al villaggio. Lungo la strada un contadino sul trattore ci invita a tornare con lui e, arrivati, un bambino scalzo ci offre un biscotto per uno. Alla sera siamo invitati a cena a casa del punto di riferimento del villaggio per la azioni nonviolente. Penso che stanotte dormirò.

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Per mettersi in mezzo. (4)

18/7/09
Al risveglio ti rendi conto di quanto possa essere complicato fare le cose più semplici come lavarsi se le attrezzature non sono adeguate. Nella nostra casa manca l'acqua corrente come in tutte le case del villaggio e ti devi arrangiare con i bidoni, ma la carta igienica sporca la devi buttare in un sacchetto per non ostruire lo scarico. Dopo quasi un'ora di abluzioni alla fine mi sento ancora non molto pulito.
Per oggi gli abitanti del villaggio hanno deciso di fare una manifestazione all'ingresso della colonia. Mi dicono che alcuni giorni fa una casa palestinese in costruzione è stata danneggiata e loro suppongono siano stati i coloni. Noi li accompagneremo. Quando si è scoperto Francesco e Michele che erano appena tornati a Gerusalemme avrebbero avuto voglia di tornare per partecipare all'azione. Io invece pensavo che iniziare con una manifestazione presso la colonia non era proprio il miglior battesimo. Ma sono andato fiducioso.
Alla fine ho visto tutti: palestinesi, soldati, polizia e pacifisti israeliani. Solo i coloni hanno fatto i timidi e non si sono presentati eccetto che il loro capo della sicurezza.
I palestinesi hanno messo dei cartelli in cui chiedevano il diritto dei loro diritti umani e delle pietre ad ostruire il passaggio dei mezzi dei coloni nelle loro terre, perché, come ho scoperto dopo, nei giorni passati avevano tracciato una pista nei loro campi, presumibilmente con l'intenzione di andare ad insediarvisi. Polizia ed esercito sono rimasti a controllare e quando il capo della polizia ha assicurato che il giorno dopo avrebbe preso in esame nel suo ufficio le lamentele dei palestinesi la manifestazione si è sciolta. A prima vista sembrerebbe una vittoria di Pirro, ma in questo contesto perfino una azione simbolica di questo tipo diventa sostanziale. Ale e Fabio erano stupiti che tutto si fosse svolto così serenamente, senza pestaggi di palestinesi o arresti di pacifisti israeliani, l'hanno considerata una grande conquista del movimento nonviolento dei villaggi a est della “bypass road”, questa strada su cui possono passare solo le auto israeliane, che in 45 minuti collega a Gerusalemme contro le 2 ore necessarie per fare lo stesso tragitto lungo le strade dei territori palestinesi.
Alla fine dell'azione siamo tornati alla casa è lì l'animatore delle azioni nonviolente ha tenuto una piccola riunione per spiegare ai neofiti degli internazionali e dei pacifisti israeliani che tutti i prossimi sabati verranno organizzate delle azioni dai villaggi che nei mesi scorsi hanno fatto formazione sull'azione nonviolenta, tutti, nonne e bambini. E a tutti è stato offerto te con il timo.
Nel pomeriggio è venuto in visita lo sceicco di una cittadina vicina. Nulla di esotico, ha cinque mogli ma insegna religione nella scuola pubblica. Probabilmente era venuto per dirci come ci si deve comportare perché ha esordito spiegando che solo chi segue i comandamenti di Allah andrà in paradiso e gli altri invece andranno nel fuoco, che se in Palestina ci sonno dei problemi è perché né ebrei né cristiani né molti mussulmani seguono i comandamenti di Allah Quando gli ho fatto notare che i coloni israeliani, anche se probabilmente non dicono la verità, sono convinti di seguire i comandamenti di Dio è rimasto un po' spiazzato. Gli ho spiegato che mi piacerebbe vedere una moschea ma che non essendo mussulmano non potevo entrarci. Mi ha detto che basta leggere le scritture per diventare mussulmano e quando gli ho detto che sapevo che il Corano può essere scritto solo in arabo mi ha detto che il corano è tradotto in tutte le lingue e che se trova il CD col Corano in italiano me lo regala. Alla fine non ci ha sgridato per i nostri comportamenti ma si è messo a spiegare a Fabio che il libro di arabo che sta usando non va bene perché ci sono frasi tradotte non in arabo corretto ma in arabo “della strada”. E quando se n'è andato mentre agli altri ha stretto la mano a me ha battuto il cinque.

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Per mettersi in mezzo. (3)

17/7/09
A pranzo gnocchi. Dato che oggi siamo tutti insieme a Gerusalemme e la cosa è abbastanza rara propongo di fare gli gnocchi per tutti. Sono venuti buoni ma proprio pochi. Peccato.
Nel pomeriggio siamo partiti per il villaggio. Lungo la strada incontriamo il muro della vergogna. Chilometri e chilometri di muro più o meno alto, più o meno spesso, che separa la terra dalla terra. Dovrebbe salvare gli israeliani dagli attacchi terroristici dei palestinesi ma come molti muri di questo tipo non impedisce di essere attraversato ma rende la vita invivibile a chi ci vive attorno.
Al cambio di bus ci caricano nel bagagliaio perché non c'è abbastanza posto nei sedili. Viaggiando con questi mezzi ci si rende conto della diversa percezione del pericolo e dell'importanza della propria vita. Sembrava di viaggiare con un ventenne un po' alticcio eppure era un trentenne del tutto sobrio ma la sua percezione del rischio era decisamente diversa dalla mia e guardando le facce dei passeggeri palestinesi veniva da concludere che fosse condivisa la stessa percezione. Come a dire che per noi la vita è qualcosa da salvaguardare molto di più, almeno la propria. Per loro forse è qualcosa che può essere rischiata più facilmente.
La sera al villaggio piccolo giro attorno alle case. L'aria è dolce e la brezza delicata. Le case tirate su alla come viene stonano in questa natura. Verrebbe voglia di andare a camminare nel crepuscolo e nel silenzio ma non si può. Bisogna tornare, al buio non si può andare in giro perché ci sarebbe allarme generale e tutti uscirebbero a vedere chi è che si aggira al buio. Eppure sarebbe così bello potere stare alla luce delle stelle nel silenzio di questi terreni sassosi.
Tornati alle case raccolgo bottiglie e sacchetti sparpagliati attorno alla strada. Mi dispiace vedere questa spazzatura sparpagliata ovunque. Ne raccolgo un sacco bello grosso e lo lascio al punto di raccolta. Domani verrà bruciato.
Dopo cena viene organizzata una scuola di debka per i ragazzini del villaggio. Ma le ragazze no. Una bambina si trattiene a stento seguendo il ritmo della musica. Ha una voglia pazza di lanciarsi ma non potrà, è femmina. La danza è solo per i maschi.

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Per mettersi in mezzo. (2)

16/7/09
Ieri sera siamo andati in centro. Faceva un po' effetto aspettare il nostro kebab (che qui si chiama shawarma) a fianco di quattro baldi giovani che imbracciavano una mitraglietta. Forse coloni o più semplicemente soldati in licenza che hanno l'obbligo di avere sempre con se la loro arma a scanso di furti o più probabilmente per dare un senso che l'esercito è sempre pronto anche se i nemici attaccheranno di sorpresa come nella guerra del Kippur. Sembravano tranquilli anche se un po' impacciati nel mangiare il loro panino districandosi tra tracolla e canna ma mi domandavo se tutti si erano ricordati di mettere la sicura.
Siamo ritornati abbastanza tardi. Ale e Fabio erano cotti e si addormentavano sul bus a rischio di farci saltare la fermata giusta essendo gli unici a conoscerla. Ieri sono arrivati tardi alla casa perché avevano saputo all'ultimo che oggi ci sarà una ispezione della Unione Europea. Il progetto è in parte finanziato dalla UE e ogni tanto ci sono dei controlli. Così ieri si sono dati da fare per risistemare un po' di cose e di conti.
Oggi invece ci siamo concessi un giro esplorativo per cominciare a capire un po' meglio questa realtà. Prima un giro per il suq e poi, dopo aver mangiato una varietà di felafel e salsette di ceci, un giro per i tre luoghi sacri: Spianata delle Moschee, Muro del Pianto e Basilica del Sacro Sepolcro.
La prima riflessione è che in questo luogo l'attaccamento al proprio credo fa comportare in maniere aggressive.

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Per mettersi in mezzo. (1)

15/7/2009
Arrivare a Gerusalemme è facile, un'oretta dall'aereoporto di Tel Aviv con un nesher, un taxi collettivo con aria condizionata. Sembra di essere in un posto normale, se non fosse che in un parco che probabilmente ricorda il luogo dii una battaglia ci sono a fare da monumento delle carcasse di mezzi militari e i giochi per i bambini sono fatti a forma di jeep da cui sparare sui nemici.
A dire la verità ogni volta che vedevo un bus mi venivano in mente le foto dei bus fatti esplodere dai “martiri” palestinesi mietendo la loro vita assieme a quella di tante persone più o meno ignare e più o meno innocenti. Adesso stanno costruendo una tramvia nuova, forse pensano sia più controllabile.
Di cantieri non ne mancano, è tutto un gran costruire case per i nuovi arrivati dai paesi più diversi. Perché in effetti gli israeliani non esistono come popolo, sono un mix di popoli di tutto il mondo e l'unica cosa che li amalgama, come un tempo i siciliani con i veneti, è il servizio militare.
All'aeroporto, al controllo dei passaporti, hanno cominciato a farmi domande. Lo fanno sempre, soprattutto per chi si presenta da solo. La poliziotta non si è accontentata di quello che le dicevo, di dove avevo intenzione di andare, e così ha trattenuto il mio passaporto. Nel frattempo sono passate altre persone con la fondata motivazione che erano “del gruppo di don Mario” (detto in italiano alla poliziotta che non lo capiva). E' venuto un altro poliziotto per accompagnarmi in una saletta. C'erano altri “selezionati” come me ad aspettare. Dopo poco però, senza che mi chiedessero alcunché, mi hanno accompagnato al posto di polizia e mi hanno restituito il passaporto timbrato. Si vede che una persona che da sola va a Gerusalemme senza il volo di ritorno prenotato non risulta credibile alla prima... o forse avevano solo voglia di darmi un po' fastidio.
E così a sera posso solo dire una cosa su questo paese:che ho notato: le israeliane sono anche carine ma vestono in una maniera orrenda.

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13/07/09

Armi leggere

Se i nostri governi si interessassero del bene dei loro cittadini avrebbero un comportamento diametralmente opposto a quello che tengono, soprattutto per quanto riguarda le armi e gli armamenti.

Alle minacce alla vita dei loro cittadini non rispondono in relazione alla pericolosita' ma a criteri molto piu' perversi che mischiano interessi personali e consociativi, fobie e pigrizie.
Non vorrei sembrare macabro con una contabilita' di morti ma penso che aiuti a riflettere.
I governi occidentali stanno restringendo perfino i diritti fondamentali con la scusa del terrorismo internazionale che per ora in Italia non ha fatto vittime e che, almeno finora e negli altri paesi europei, ha fatto qualche centinaio di morti.
Allo stesso tempo non fanno quasi niente, non limitano neppure la velocita' delle macchine che ha dimostrato poter ridurre notevolmente il numero di morti (e feriti) sulle strade che solo in Italia arrivano ad essere 6/7.000 all'anno.
Discorso analogo e' quello delle armi leggere che ogni anno procurano qualche centinaio di morti in Italia e proporzionalmente molto di piu' nei paesi in cui l'uso delle armi non e' regolementato. A partire dai cacciatori (o anche passanti) uccisi o feriti nelle battute di caccia, per arrivare ai banditi (e passanti) colpiti da armi "regolermente detenute", e finire con coloro che, come si e' visto in varie occasioni, pensano di difendersi con pistole e fucili e quello che alla fine ottengono e' solo di morire, uccidere e spargere dolore ovunque.

Forse anche le armi della polizia sono di troppo (ai tempi in cui i bobbies di Londra giravano disarmati la delinquenza londinese era molto meno pericolosa) ma sicuramente proibire le vendita di armi leggere ridurrebbe drasticamente il numero complessivo di morti e feriti senza ridurre la sicurezza complessiva ma, al contrario, aumentandola. E se qualcuno si diverte tanto a sparare a qualcosa vorra' dire che sara' costretto a farsi passare la voglia dedicandosi ad altre attivita'.
Penso che sia una "costrizione" che val la pena di imporre per il bene di tutti, pur avendo l'attenzione di aiutare chi campa di armi a trovare un altro sistema per viviere, perche' anche se la Repubblica si basa sul lavoro deve essere un lavoro che non danneggi altri.
Per cui è un vero peccato il rultato del referendum brasiliano per l'eliminazione del commercio di armi. Una eventuale abolizione in Brasile avrebbe potuto convincere anche qualcuno che puo' in Italia a cominciare a pensare cosa far fare d'altro agli armaioli della Val Trompia, e come evitare il dolore che le armi in circolazione in Italia ogni anno provocano.

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17/04/09

Educazione all'odio in Palestina

Nel video in http://www.youtube.com/watch?v=aAuKMoEQkCI si può vedere dei ragazzi figli di coloni israeliani aggredire delle ragazze palestinesi che escono da casa.
 
Questo per dimostrare quanto sia fondamentale l'educazione di una popolazione non solo per il futuro ma anche per il presente. E in Italia l'attenzione è sempre minore verso l'educazione perché gli adulti non vogliono fare fatica e preferiscono lasciare i giovani senza educazione. In Palestina è ancora peggio e l'educazione viene usata come un arma e per questo il dolore è profondo e potrà finire solo per una catastrofe.
 
Per spiegare le cose tutto si può, anzi si deve citare, anche i palestinesi che si fanno saltare sugli autobus pieni di gente, donne e bambin. Diciamo che la differenza è che gli uomini bomba ci rimettono anche la loro vita e gli altri no. In ogni caso non penso si possa mettere sullo stesso piano chi schiaccia e chi cerca di non farsi schiacciare.
Sono entrambe frutto di una educazione all'odio vicendevole. Volendo si può anche aggiungere che tra palestinesi e israeliani i secondi sono i più democratici. Ma non è che decidere democraticamente di schiacciare un altro popolo lo renda meno odioso.
Posso aggiungere che anche i partigiani hanno ammazzato in via Rasella dei giovani cresciuti nella convinzione di dover dominare il mondo ma che avevano madri e affetti e forse erano lì contro la loro volontà. E io sono convinto che fosse possibile e auspicabile liberarsi senza torcere un capello a nessun nazista, ma non confonderei i ruoli.
 
Ci se ne può anche fregare del fatto che ci rimetta la sua vita uno che ammazza donne e bambini innocenti su un autobus perché e' un assassino.e che non si può mettere sullo stesso piano un soldato israeliano e un bambino israeliano perché la guerra si fa contro i soldati e non contro gli innocenti, ma penso che ancora peggio sia uno stato il cui esercito fa a donne e bambini lo stesso che fanno dei terroristi. A meno che non si voglia dire che tutti i bambini e le donne palestinesi sono colpevoli mentre quelli israeliani sono innocenti. Dal video si può vedere che non è vero. Almeno i terroristi non lo decidono democraticamente e potrebbero essere anche dei pazzi sanguinari mentre uno stato non può permettersi di essere pazzo e sanguinario.
Io penso anche che una guerra non si dovrebbe fare neppure contro i soldati perché anche i soldati spesso non sono che poveri cristi che si trovano un fucile in mano senza averne voglia.
Il fatto che uno ci rimetta la vita non dovrebbe servire a santificarlo ma dovrebbe far riflettere sul livello di disperazione che può avere raggiunto nella sua vita.
A me frega della vita anche degli assassini, che lo facciano per un ideale o per interesse personale. E non mi interessa solo per loro ma anche per la mia di vita. Se nego l'importanza della vita degli assassini sto cominciando a negare l'importanza della mia di vita.
Riguardo poi all'equiparare i nazisti con gli israeliani bisogna osservare che i nazisti non erano tutti pazzi sanguinari ma semplicemente un popolo educato all'odio contro il diverso, proprio come sta avvenendo in Israele adesso (o come succedeva in Sud Africa durante l'apartheid). E la prima educazione all'odio è il cercare le colpe dell'altro invece di cercare le sue ragioni.
 

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13/01/09

Il lupo israeliano e il capretto palestinese

Un branco di lupi israeliani e un capretto palestinese erano venuti presso il medesimo ruscello spinti dalla sete.
Il branco dei lupi israeliani stava più in alto, il capretto palestinese molto più in basso. Allora il capo del branco di lupi israeliani cominciò a dire "Perchè tu vuoi attentare alla nostra esistenza con le tue corna?".
Il capretto palestinese timoroso in risposta:" Come posso, di grazia, fare ciò di cui ti lamenti, oh lupo? Sto più in basso di te e se salissi da te arriverei già stanco e se anche provassi a darti una cornata, con le tue zanne e i tuoi artigli mi dilanieresti". Di fronte all'evidenza il capo dei lupi disse "Sei mesi fa dei capretti che stavo inseguendo mi hanno tirato una cornata". Rispose il capretto palestinese: "ma cosa ne posso io, che allora non ero neppure nato". Il capo dei lupi replicò ""Tuo padre, maledizione, mi ha fatto la cacca davanti, una volta che lo inseguivo". E così afferra il capretto palestinese e lo sbrana, banchettando con gli altri del branco.
Un po' più in là uno sciacallo statunitense si rivolse ad un bufalo italiano e gli disse "Il lupo ha proprio ragione, quel capretto era proprio pericoloso, il lupo ha fatto bene a difendersi" e si avvicinò al banchetto sperando che ne restasse anche per lui. Il bufalo italiano, a quel punto, si allontanò in silenzio pensando che in effetti le corna della capretta erano veramente troppo pericolose ma, sentendosi buono, se la capretta ne vesse avuto bisogno, una volta tornato, l'avrebbe sicuramente aiutata a rimettersi in piedi.

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24/11/08

Che fare?

Sempre più spesso ci sono persone che si domandano che fare per uscire dal vortice che sta facendo sprofondare la convivenza civile e sociale.
Votare non ha più senso perché il consenso viene manipolato e stravolto per mantenere il potere da chi lo detiene, l'azione volontaria viene sfruttata per i fini più diversi, spesso di lucro, l'azione virtuale rimane inefficace.
Il fatto è che penso che le popolazioni necessitino di livelli di attivazione molto significativi. Questi possono essere raggiunti per il dolore sofferto (come nel caso delle guerre) o per una pratica del conflitto che deriva da una capacità critica. Non auspicando la prima ipotesi che normalmente richiede un costo veramente alto, l'altra alternativa di trasformazione e miglioramento risulta la migliore. Ma se a questa si oppone la sterilizzazione della capacità critica l'unica possibilità che rimane è drammaticamente la prima.
Proprio per questo, se si vuole evitare la sofferenza dell'esplosione violenta dei conflitti, bisogna abituarsi a praticare una capacità critica e ad affrontare i conseguenti conflitti, imparando possibilmente a gestirli e traformarli in maniera nonviolenta, che non vuole dire semplicemente simbolica.
La sfida è tra accettare che certi pazzi che pensano di poter sfruttare sempre di più gli altri continuino ad anestetizzare la capacità critica altrui e nostra impedendoci di ribellarci fino a quando la sofferenza estrema farà esplodere violentemente il conflitto sociale e metterà a repentaglio la vita di tutti oppure cominciare ad agire per recuperare la capacità critica delle generazioni, riaddestrandoli anche al conflitto interpersonale e sociale. Per fare questo però bisogna risvegliare noi stessi dal torpore delle coscienze in cui siamo immersi ed aiutare gli altri a fare altrettanto sia sensibilizzandoli ma soprattutto mettendo in ballo la vita stessa nostra e degli avversari, non tanto insidiando la loro incolumità quanto coinvolgendoli anche emotivamente e fisicamente nella presa di coscienza delle conseguenze dei loro atti. Questo può avvenire tramite la cosiddetta "azione diretta", una pratica politica che viene messa in opera con strumenti anche molto diversi tra loro (da quelli violenti a quelli nonviolenti) e di cui però si sta perdendo la conoscenza.
L'alternativa è lo scivolare verso un imbarbarimento dei disequilibri che si fermerà solo quando la sofferenza delle popolazioni le spingerà a ribellarsi, cosa che di solito è avvenuto in maniera violenta e cruenta.
Non basta più mandare email o firmare petizioni e perfino fare scioperi di opinione o partecipare a cortei. Sono metafore conflittuali che hanno senso solo nella misura in cui le parti in gioco hanno coscienza dell'importanza di limitare sul piano simbolico lo scontro per fare in modo che il conflitto non abbia conseguenza nefaste per entrambe i contendenti. Ma in una società in cui l'ignoranza politica delle parti in gioco fa perdere la coscienza dell'importanza dei conflitti simbolici diventa del tutto superfluo rimanere su tale livello quando manifestazioni di centinaia di migliaia di persone vengono ignorate perché banalmente non creano nessun problema, neppure alla semplice possibilità di spostamento dell'avversario o gli scioperi non intaccano di un pelo il suo portafoglio.
"Azione diretta" non è solo il terrorismo o lo violenza dei black block, ma può essere il blocco dei treni che portano armi o anche solo il blocco delle sfilate di auto blu ad inaugurazioni o cerimonie.
Se i potenti pensano di poter ignorare gli altri uomini saranno gli altri uomini che dovranno farsi prendere in considerazione e se non si riuscirà a fare ciò con strumenti efficaci ma incruenti basterà aspettare per vedere scorrere il sangue. Cossiga, il più squallido rappresentante del potere, docet.

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15/03/08

I vantaggi dell'azione nonviolenta

La nonviolenza richiede la capacità d’agire direttamente all’interno del conflitto. Fin da piccoli noi veniamo educati, dai nostri genitori, dalla società, dalle relazioni che abbiamo, ad affrontare il conflitto in una maniera violenta acquisendo a poco a poco un addestramento sopraffino. Ma veramente pochi ricevono un addestramento all'azione che non sia violenta per agire nel conflitto. È un tipo di azione che, probabilmente, se la imparassimo fin da piccoli, sarebbe ancora più facile da imparare che l’azione violenta perché non è poi così facile agire nel conflitto violentemente. Come la violenza si impara poco a poco (e la nostra società è bravissima ad insegnarcelo), anche la nonviolenza richiede del tempo per essere imparata, e come la violenza si impara praticandola, anche la nonviolenza si impara dall'esperienza. Ma come molte volte non si riescono a risolvere i conflitti con la violenza, anche la nonviolenza può non riuscire nella soluzione del conflitto. D’altra parte, se si è addestrati, con la nonviolenza si può pensare di risolvere il conflitto non sconfiggendo l’altro ma dando una soluzione valida per tutti, e si riesce ad eliminare il problema perché si leva la motivazione all’altro di cercare di riaccendere il conflitto. Al contrario, dato che la modalità violenta considera il conflitto "risolto" quando uno schiaccia l’altro, ci sarà qualcuno che cercherà, proprio per gli aspetti di aggressività naturale, di recuperare e ribaltare la propria posizione di inferiorità e quindi il conflitto non sarà risolto ma resterà solo latente fino a che, prima o poi, riesploderà. L'unica maniera per "risolvere" violentemente il conflitto è eliminare fisicamente l'altro, il diretto interessato e tutti coloro che sono in relazione con lui. Come può succedere che con la nonviolenza non si riesce a risolvere il conflitto, altrettanto facilmente, se non più facilmente, con la violenza non si riesce a risolvere i conflitti. Se, con la nonviolenza, si riesce a risolvere dei conflitti è di solito in una maniera stabile, mentre invece il conflitto "risolto" in maniera violenta è apparentemente risolto solo in modo instabile.
D'altra parte nella gestione nonviolenta dei conflitti il livello di sofferenza per tutte le parti in causa è decisamente minore rispetto ad una gestione violenta. E se poi non si riesce a trovare una soluzione definitiva e completa almeno si sono ridotte le sofferenze. Al contrario con un approccio violento al conflitto in molti casi perfino chi vince subisce tali sofferenze da far preferire di non aver mai affrontato lo scontro. All'invasione da parte delle truppe sovietiche in Ungheria si rispose con la violenza e in Cecoslovacchia con la nonviolenza. In entrambe i casi l'occupazione rimase ma in Cecoslovacchia morirono poche decine di persone contro le 56000 morte in Ungheria. In Palestina la prima Intifada, in cui il massimo della violenza della resistenza erano pietre lanciate da ragazzini, era quasi riuscita ad ottenere una buona parte delle richieste palestinesi ma la provocazione di Sharon che attraversò la Spianata delle Moschee riuscì a far scatenare una reazione violenta che ha dato modo agli israeliani di schiacciare negli anni successivi le rivendicazioni palestinesi.
Si può quindi capire che la nonviolenza conviene anche solo da un punto di vista pragmatico, non necessariamente per una scelta etica o morale, nel senso che è una modalità di gestione del conflitto che risolve più problemi a un costo inferiore per cui non sembra ragionevole continuare ad usare la modalità violenta; il problema è che quella violenta è una modalità che ormai noi abbiamo acquisito e che fa parte di noi, mentre invece quella nonviolenta normalmente non la acquisiamo durante la nostra vita, soprattutto nelle società del nord del mondo, visto che in altre società un approccio nonviolento è più connaturato alla cultura locale. A questo punto per trovare dei percorsi nonviolenti per risolvere i conflitti bisogna lavorare su di noi, come singoli e come collettività, recuperando quello che non abbiamo imparato e tralasciando, disimparando, quello che abbiamo imparato nel campo della violenza. Questo comporta del tempo, del lavoro su noi stessi e sugli altri, proprio perché non basta affrontare la nonviolenza da un punto di vista puramente personale. Per arrivare a compiere delle azioni nonviolente bisogna riuscire ad avere una capacità di autocontrollo che non è semplicemente reprimersi, ma sapersi controllare, saper limitare la propria risposta aggressiva in alcune situazioni, ma in altre situazioni invece stimolarla, per esempio per superare situazioni di depressione, di paura o di pigrizia anche indotte dal contesto, proprio per arrivare ad agire ed affrontare realmente il conflitto.

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Violento o nonviolento?

Il mio modo di vedere la nonviolenza non è un qualcosa di ideologico, parte da dei valori ma è qualcosa che matura di giorno in giorno, è qualcosa con cui ti confronti, con cui hai a che fare per riuscire a capire ogni volta qual’è il percorso migliore. È una direzione da seguire con alcuni paletti più precisi a cui fare riferimento ma che mi richiede ad ogni passo di scegliere dove mettere il piede. Le cose non sono necessariamente violente o nonviolente: posso spaccare la testa di qualcuno con un utilissimo martello o salvargli la vita con un coltello affilatissimo. Neanche le azioni sono di per sé violente o nonviolente. In un quartiere di Genova, ad esempio, hanno organizzato azioni ritenute prettamente nonviolente come la raccolta di firme, i cortei, i digiuni, per impedire con motivazioni razziste l’installazione di un campo nomadi. Quindi azioni "nonviolente" per scopi decisamente "violenti". Ma, come dicevo prima, anche uno sculaccione ha valore diverso in contesti diversi. Penso sia necessario stare attenti a non dare dei timbri, ma bisogna cercare di affrontare le cose ognuna per quel che è, cercando di capire ogni volta; questo richiede fatica, anche del tempo, perché bisogna farsi un'idea, informarsi, e questo può anche significare che a cinquanta anni o anche a cento non si sa dire alla prima battuta cosa è giusto e cosa è sbagliato. Però è l’unica maniera per evitare poi di fare realmente delle violenze magari soltanto perché ad un certo punto si è arrivati a concludere che una cosa è così "e basta" e tutto ciò che avviene dopo lo ignoriamo perché pretendiamo di "aver capito tutto". La nonviolenza è fatta di persone che non hanno "capito tutto" o meglio che sono sicure di non avere già capito tutto.

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Violenza

A questo punto bisognerebbe addentrarsi nella definizione del termine violenza: provo sommariamente a darne una, tra le tante, che penso sia come molte altre discutibile, ma che mi sembra tenga correttamente conto di aspetti etici, fisiologici, psicologici e sociali. Fare violenza è creare deliberatamente sofferenza fisica e morale in altri al fine di imporre ad altri il proprio vantaggio o di raggiungere la propria gratificazione.
Per questo la nonviolenza non esclude di usare strumenti che, ad esempio, costringono l'avversario. Magari non lo costringono con la forza fisica ma, ad esempio, con la forza psicologica: ai tempi in cui a Genova c’era la campagna contro la Mostra Navale Bellica, che era una mostra-mercato di sistemi d'arma, i manfestanti impedirono l’accesso alla mostra ai visitatori costringendoli, nel caso avessero voluto entrare, a scavalcare i loro corpi. Tutto è iniziato nell'82: in dodici persone volantinarono davanti all'accesso della mostra. Di anno in anno si è creata una campagna vera e propria che, partendo da una notevole attività di sensibilizzazione e quindi una crescita della città e arrivando all'azione diretta nonviolenta durante i giorni della mostra, ha portato nel 89 all’ultima edizione della mostra. Durante le azioni di blocco ci eravamo dati l'obiettivo di impedire l’accesso alla mostra ma alcuni ci obiettavano che impedire a qualcuno di entrare era fargli una violenza, se non fisica, perché nessuno veniva toccato, almeno psicologica, perché li intimorivamo con la nostra presenza. Chi entrava era libero di passare ma per far quello doveva fare del male ai manifestanti camminando loro addosso e questa era vista da alcuni come una violenza psicologica nei suoi confronti, una violenza che poteva shockarlo, creargli disagio, poteva in qualche modo turbarlo. La considerazione era che quel disagio, quella sofferenza servivano a farlo riflettere sulla sofferenza incommensurabilmente maggiore creata dalle armi che andava a trattare nella mostra, l'azione non era fatta per evitare la sofferenza dei manifestanti (che per altro, se decideva di passare, aumentava), né per sconfiggerlo e danneggiarlo a vantaggio di chi gli impediva il passaggio, ma per far riemergere la sua umanità e per questo non era da considerare una violenza.
Molte volte si abusa del termine violenza: come dicevo prima, per superare un conflitto a volte è necessario lo scontro e questo vuol dire avere a che fare con una realtà sgradevole. Molte volte si accusa di essere violento un atteggiamento sanamente aggressivo e molte altre invece si giustificano e si assecondano comportamenti molto violenti magari solo perché non lo sono in maniera evidente. Bisogna riflettere ogni volta sulle singole situazioni. Per esempio alcuni ritengono che dare una patta sul sedere ad un bambino sia una violenza inaudita, ma penso che dipenda molto dalla situazione. Se lo sculaccione gli arriva per il fastidio dato da un genitore stanco che non ha voglia di dare tante spiegazioni è un conto, mentre se lo sculaccione arriva, magari sul pannolino, da un genitore serio e concentrato dopo che il bambino è scappato attraversando la strada senza guardare può essere invece un’ottima occasione per farlo riflettere senza conseguenze negative, per esempio, sul pericolo che lui ha corso. In quel caso la patta non è una vendetta, non è data per dare dolore, ma crea un canale di comunicazione che altrimenti difficilmente potrebbe essere altrettanto forte.

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