Pensieri circolari

se i pensieri vanno dritti spesso sbagliano mira

15/03/08

I vantaggi dell'azione nonviolenta

La nonviolenza richiede la capacità d’agire direttamente all’interno del conflitto. Fin da piccoli noi veniamo educati, dai nostri genitori, dalla società, dalle relazioni che abbiamo, ad affrontare il conflitto in una maniera violenta acquisendo a poco a poco un addestramento sopraffino. Ma veramente pochi ricevono un addestramento all'azione che non sia violenta per agire nel conflitto. È un tipo di azione che, probabilmente, se la imparassimo fin da piccoli, sarebbe ancora più facile da imparare che l’azione violenta perché non è poi così facile agire nel conflitto violentemente. Come la violenza si impara poco a poco (e la nostra società è bravissima ad insegnarcelo), anche la nonviolenza richiede del tempo per essere imparata, e come la violenza si impara praticandola, anche la nonviolenza si impara dall'esperienza. Ma come molte volte non si riescono a risolvere i conflitti con la violenza, anche la nonviolenza può non riuscire nella soluzione del conflitto. D’altra parte, se si è addestrati, con la nonviolenza si può pensare di risolvere il conflitto non sconfiggendo l’altro ma dando una soluzione valida per tutti, e si riesce ad eliminare il problema perché si leva la motivazione all’altro di cercare di riaccendere il conflitto. Al contrario, dato che la modalità violenta considera il conflitto "risolto" quando uno schiaccia l’altro, ci sarà qualcuno che cercherà, proprio per gli aspetti di aggressività naturale, di recuperare e ribaltare la propria posizione di inferiorità e quindi il conflitto non sarà risolto ma resterà solo latente fino a che, prima o poi, riesploderà. L'unica maniera per "risolvere" violentemente il conflitto è eliminare fisicamente l'altro, il diretto interessato e tutti coloro che sono in relazione con lui. Come può succedere che con la nonviolenza non si riesce a risolvere il conflitto, altrettanto facilmente, se non più facilmente, con la violenza non si riesce a risolvere i conflitti. Se, con la nonviolenza, si riesce a risolvere dei conflitti è di solito in una maniera stabile, mentre invece il conflitto "risolto" in maniera violenta è apparentemente risolto solo in modo instabile.
D'altra parte nella gestione nonviolenta dei conflitti il livello di sofferenza per tutte le parti in causa è decisamente minore rispetto ad una gestione violenta. E se poi non si riesce a trovare una soluzione definitiva e completa almeno si sono ridotte le sofferenze. Al contrario con un approccio violento al conflitto in molti casi perfino chi vince subisce tali sofferenze da far preferire di non aver mai affrontato lo scontro. All'invasione da parte delle truppe sovietiche in Ungheria si rispose con la violenza e in Cecoslovacchia con la nonviolenza. In entrambe i casi l'occupazione rimase ma in Cecoslovacchia morirono poche decine di persone contro le 56000 morte in Ungheria. In Palestina la prima Intifada, in cui il massimo della violenza della resistenza erano pietre lanciate da ragazzini, era quasi riuscita ad ottenere una buona parte delle richieste palestinesi ma la provocazione di Sharon che attraversò la Spianata delle Moschee riuscì a far scatenare una reazione violenta che ha dato modo agli israeliani di schiacciare negli anni successivi le rivendicazioni palestinesi.
Si può quindi capire che la nonviolenza conviene anche solo da un punto di vista pragmatico, non necessariamente per una scelta etica o morale, nel senso che è una modalità di gestione del conflitto che risolve più problemi a un costo inferiore per cui non sembra ragionevole continuare ad usare la modalità violenta; il problema è che quella violenta è una modalità che ormai noi abbiamo acquisito e che fa parte di noi, mentre invece quella nonviolenta normalmente non la acquisiamo durante la nostra vita, soprattutto nelle società del nord del mondo, visto che in altre società un approccio nonviolento è più connaturato alla cultura locale. A questo punto per trovare dei percorsi nonviolenti per risolvere i conflitti bisogna lavorare su di noi, come singoli e come collettività, recuperando quello che non abbiamo imparato e tralasciando, disimparando, quello che abbiamo imparato nel campo della violenza. Questo comporta del tempo, del lavoro su noi stessi e sugli altri, proprio perché non basta affrontare la nonviolenza da un punto di vista puramente personale. Per arrivare a compiere delle azioni nonviolente bisogna riuscire ad avere una capacità di autocontrollo che non è semplicemente reprimersi, ma sapersi controllare, saper limitare la propria risposta aggressiva in alcune situazioni, ma in altre situazioni invece stimolarla, per esempio per superare situazioni di depressione, di paura o di pigrizia anche indotte dal contesto, proprio per arrivare ad agire ed affrontare realmente il conflitto.

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