Pensieri circolari

se i pensieri vanno dritti spesso sbagliano mira

23/10/09

Per mettersi in mezzo (17)

31/7/09
Durante la notte l'aria si rinfresca parecchio e sale una forte umidità tanto che all'alba intravedo nel dormiveglia il sole dietro delle nuvole con tutte le gradazioni dell'arcobaleno. Mi godo l'immagine e mi giro dall'altra parte.
Quando sentirò un martello pneumatico mi verrà in mente la Palestina. Anche stamattina che teoricamente non avrei nessun compito e potrei dormire sono stato svegliato dal martellare del martello pneumatico di una ruspa che da quando sono qui sta crivellando il villaggio di voragini. Dubito che siano tutti lavori autorizzati, anche perché non so se da queste parti serve una autorizzazione per bucare o costruire all'interno dei piani di espansione, ma non sono neppure sicuro che siano tutti dentro i confini del piano di sviluppo del villaggio. Uno dei buchi infatti è stato fatto di lato alle macerie di una delle case che in passato sono state demolite dagli israeliani perché fuori dei confini. Non che i palestinesi si siano demoralizzati, lo hanno ricostruito in muratura a forma di tenda e lo hanno ricoperto con una tenda vera. Comunque da mattina a sera per il villaggio si sente un martellare assordante e costante.
A metà mattinata gli altri del gruppo, non avendo niente fa fare dato che il summer camp è ormai finito, decidono di fare una passeggiata fino al villaggio a fianco dell'altra colonia. Mi chiedono se vado ma non ho voglia di farmi due camminate di un'ora sotto il sole, soprattutto al ritorno, per tornare dove ero andato a controllare lo scavo delle latrine (altra giornata di martello pneumatico). Così resto alla casa con gli americani che non sono andati a Tuba a dormire, Mi viene voglia di andare all'albero sopra il villaggio a leggere un libro e quando sto per partire noto una strana agitazione tra gli americani. Diana è impegnata in una telefonata abbastanza concitata e alla fine le chiedo cosa sta succedendo. Mi dice che i militari e la polizia hanno fermato il gruppo di americani che erano a Tuba e stavano accompagnando dei pastori al pascolo, gli hanno ritirato le carte di identità e li minacciano di arresto. Mi dice anche che gli altri del gruppo che stavano transitando per andare all'altro villaggio, che sono arrivati nel frattempo, sono stati avvertiti di cosa stava succedendo e si sono defilati osservando da lontano. Chiamo la Fede e mi dice che sono fermi al sole ad aspettare di vedere cosa succede.
Non potendo fare niente per il momento dico a Diana che sono all'albero e di chiamarmi se posso essere utile.
All'alberone sopra il villaggio l'aria è fresca e il vento tira allegro. Il panorama è molto bello. Una cosa meravigliosa di questi posti è che vedi ovunque. Anche oggi, dopo che l'umidità della notte si è dileguata, dalla collinetta su cui è l'albero si vedono i villaggi e le cittadine a chilometri e chilometri di distanza, si vedono i trattori che vengono e vanno, le persone che camminano lungo le strade come in un presepe immenso. E qui proprio di presepe si può parlare.
Dopo un'oretta chiamo Fede per sapere che ne è di loro. Mi aveva detto che mi avrebbe aggiornato ma non ho ricevuto nessuna notizia. Mi dice che sono ancora piantati sotto il sole ad osservare quello che sta succedendo agli americani. Mi sento un po' in colpa di stare al fresco sotto l'albero, stamattina mi è andata bene ad essere stato un po' pigro.
Dopo un'altra ora, quando sto per richiamare ricevo  un messaggio di Fede che mi dice che sono tornati a casa. Alla fine la polizia ha restituito i documenti a tutti ed ha portato alla stazione di polizia il pastore per fornire chiarimenti sulle cosa che ha chiesto, almeno così dice la polizia. Mi viene il dubbio che questa volta la presenza di tutti quegli internazionali, metà della delegazione americana, assieme al pastore sia servita più ad attrarre i militari che a dissuaderli dall'intervenire. In compenso i membri della delegazione sembrano provati dall'esperienza. Verrebbe da pensare che la cosa sia stata organizzata come simulazione di una situazione di conflitto per il loro training.
Nel pomeriggio andiamo tutti all'albero anche con il responsabile di tutti i progetti appena arrivato dall'Italia in vista della riunione del 2 con gli americani che, appena arrivato all'albero, chiede ai volontari permanenti di appartarsi con lui per una riunione. Noi restiamo a chiacchierare e prendere il fresco che ormai tanto fresco più non è. Dopo un'oretta tornano dall'albero e questa volta ci chiedono di andarcene perché hanno appuntamento lì con il “capo villaggio” per parlare con lui del futuro della permanenza degli italiani. Mi sento infastidito. Alla partenza mi era stato esplicitato, senza che neppure lo chiedessi, che qui non ci sarebbe stata distinzione a seconda della durata della propria permanenza come volontari, tanto che avevo pensato che, proprio perché novellino della situazione, mi sarei impegnato ad ascoltare prima di dire la mia come spesso faccio. Eppure qui in molte situazioni noto che i volontari di periodo più lungo si aspettano un certa subordinazione da parte di quelli di più breve periodo, per esempio riguardo al cosa fare nelle situazioni di emergenza, anche se esplicitamente la cosa viene costantemente smentita. Penso che possano esserci ottime ragioni per dare più importanza alle posizioni di chi ha maggiore esperienza in loco, ma penso sia più corretto riconoscere la cosa invece che affermare in teoria il contrario.
Prima di cena chiedo a Ele, che cura il calendario, che turni farò nei prossimi giorni, anche per potermi organizzare eventuali visite quando sono a Gerusalemme. Lei mi risponde che domani tornerò con quelli del summer camp. Quando le faccio presente che non le avevo chiesto cosa facevo “il prossimo giorno” ma “i prossimi giorni” mi dice che non sa ancora dirmi e la cosa mi indispettisce non poco visto che è da una settimana che le ho spiegato anche il motivo per cui vorrei poter sapere con un po' di anticipo quali turni farò.
Alla sera, dopo cena, Fabio mi chiede di fare due passi con lui. Viene anche Ele. Chiacchieriamo del più e del meno nel buio subito fuori dal paese. Il paesaggio è veramente bello, con le luci di tutti i villaggi in lontananza, e per caso ci sediamo di fianco ad una pianta che ha un profumo intenso e molto buono. Ad un certo punto il discorso arriva ai turni e mi chiedono se io pensavo ancora di tornare al villaggio nei prossimi giorni. Un po' mi stupisco e dico che se ho dato la disponibilità per un certo periodo non mi sembrerebbe neppure corretto cambiarla a metà e comunque non avrei motivo di non voler venire ancora al villaggio. Allora mi chiedono come sono state queste due settimane per me. Gli spiego che ci sto ancora riflettendo, che sto osservando e vivendo le cose per poi rifletterci anche in seguito. Mi dicono che sono molto interessati alle mie osservazioni, che ci tengono perché pensano siano molto utili per permettergli di rivedere la loro esperienza in confronto ad altri approcci. In fondo io Fabio e Ele ci siamo conosciuti in occasioni di formazione sui temi della gestione dei conflitti in aree di crisi ma non abbiamo avuto mai molta possibilità di scambio di idee e di confronto.
Io gli prometto che finito il periodo condividerò con loro le mie riflessioni ma che mi sembra meglio adesso vivere l'esperienza senza che le mie valutazioni vadano ad interferire con la vita del gruppo. Così me ne torno alla casa nel silenzio della notte con il vento che mi accarezza sentendo che da parte loro c'è una stima profonda come io ho per loro.

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