Pensieri circolari

se i pensieri vanno dritti spesso sbagliano mira

28/06/09

Movimento e metodi decisionali

================= da Enrico Testino

Ho seguito come volontario i lavori dell'ufficio stampa del gsf dal febbraio del 2001 volendo contribuire ad un movimento nonviolento e di contenuti sono imbarazzato dal silenzio mediatico del gsf in questi giorni, le uniche persone che lavorano, si esprimono sono gli avvocati che stanno seguendo con sollecitudine le persone arrestate (per chiarezza: vanno seguite al di là delle presunte colpevolezze o innocenze) e chi organizza le testimonianze (anch'esse faccenda legale e di emergenza)
Mi chiedo se il gsf ha intenzione di lasciare parlare il resto del paese, degli intellettuali, dei politici per se dando al gsf una immagine casuale (anche positiva a volte) e non scelta, o il gsf è finito e segue solo le testimonianze delle giornate del 20 e 21 luglio e delle vicende legali o continua e deve esprimersi sulle sue responsabilità passate, presenti, future. Responsabilità che sono, ad esempio, continuare una ricerca di movimento pacifico e nonviolento. (...)
a questo punto due domande: i portavoce del gsf? quando tornano? che decisioni hanno preso? a chi dobbiamo rivolgerci se vogliamo
indicazioni? d'ora in poi ogni associazione parlerà per sè? (...) Consapevole delle difficoltà personali, del movimento, delle associazioni vi inoltro questa mail di domande
Enrico Testino

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Penso che questo messaggio di Enrico evidenzi un notevole problema relativo alle modalità consensuali all'interno del GSF. Enrico parla di "decisioni dei portavoce", ma se fossero stati portavoce dovevano riportare la voce dei propri gruppi, altrimenti sarebbero stati dei delegati o dei rappresentanti. Invece ad un certo punto è spuntato questo gruppo di pseudo portavoce che si è auto-nominato parlamentino esclusivo per tutto il movimento. E se a un certo punto forse poteva esserlo per le associazioni da cui provenivano i "portavoce" non certo poteva e soprattutto potrà valere per tutte quelle persone che non hanno, e forse non per caso, una appartenenza associativa che tra i 200.000 non erano poche.
Analogamente è successo in alcuni gruppi. Il "solerte" Stefano Lenzi ha deciso autonomamente di avere la responsabilità del gruppo stampa formato da un certo numero di persone che si sono date disponibili ed è perfino arrivato a decidere da solo chi ci poteva stare e chi no escludendo di fatto chi aveva deciso di "cacciare".
Attualmente a gestire gli aspetti "legali" sono rimaste soprattutto persone che si erano attivate negli ultimi tempi e che per altro pare abbiano ben imparato a delimitarsi la loro parte di "potere". Con la scusa che il materiale è delicato vengono escluse dalla collaborazione molte persone che si sono date disponibili coinvolgendo solo coloro che eseguono le indicazioni di pochi senza fare tante domande sulle scelte.
Per non aver accettato una organizzazione verticistica in cui i "capetti" decidevano per tutti, rivendicando di agire "senza rappresentare nessuno" come in varie volte mi è stato rinfacciato, sono sempre stato guardato con diffidenza e osteggiato.
Per aver cercato di diffondere il più possibile l'informazione in modo da rendere quante più persone partecipi nelle scelte spesso sono stato escluso dall'informazione stessa dovendomela andare a cercare da solo.
Nonostante questo, o forse anche per questo, sono riuscito, con poco aiuto da parte di altri, a creare un rapporto anche con i mass media, che ha creato un notevole cambiamento di attenzione e disponibilità nei confronti dei "nostri" temi e penso ancora adesso sia uno dei migliori risultati del GSF.
Ma aver osato dire che anche il GSF aveva fatto degli errori mi ha perfino procurato delle minaccie.
Penso che la questione dei processi decisionali, della qualità dei decisori (nel caso si intenda identificarli) e delle modalità di comunicazione debbano essere i primi temi da affrontare prima che questa nuova "rivoluzione" finisca guidata da direttori che fanno rimpiangere gli attuali governanti.
Un altro mondo è possibile prima di tutto se sarà possibile un altro modo di decidere. Altrimenti sarà il solito "un passo avanti e due indietro". E non basterà una assemblea universale via Internet se poi buona parte dei "capetti" neanche sa cosa si dicono le persone del movimento perché non hanno tempo di leggere le cose che vengono scritte. La democrazia partecipativa non basta auspicarla, bisogna provare ad attuarla.

agosto 2001

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03/05/09

Pacifismo e democrazia

L'analisi sull'efficacia del pacifismo penso debba intrecciarsi con quella sulla progressiva inefficacia della democrazia, a cui, con gli anni, il pacifismo si è sempre più avvicinato nelle modalità d'azione.

Se per molti anni le istanze legate al tema della pace sono state portate avanti con modalità autonome di disobbedienza civile ed azione diretta (si pensi agli scioperi generali durante il fascismo per porre fine alla guerra, alla scelta di accettare la prigione per vedere riconosciuta l'obiezione di coscienza engli anni 60, ai blocchi degli accessi della base per missili nucleari di Comiso o della Mostra Navale Bellica di Genova negli anni 80), col passare del tempo si è sempre più limitati a presentare richieste alle forze politiche, sperando che qualcuna se ne prendesse carico, adeguandosi alle dinamiche della democrazia rappresentativa, per esempio scegliendo di supportare le proprie richieste con cortei e iniziative analoghe.

Ma la crisi delle dinamiche democratiche, con sistemi elettorali che impediscono agli elettori di farsi effettivamente rappresentare e la manipolazione del consenso tramite il controllo dei mezzi di comunicazione che fanno sì che i governi possano ignorare se non perfino deridere manifestazioni di milioni di persone, ha ugualmente reso impotente chi su tali dinamiche intende basare la propria azione.

Penso quindi che ci possano essere due strade diverse e complementari per uscire da questa impotenza.

La prima, più diretta e a prima vista più semplice, che preveda di riprendere nelle proprie mani l'azione, non delegando più la rappresentanza delle proprie istanze. Ma ciò richiederebbe un livello di partecipazione e coinvolgimento, una disponibilità a rischiare, che non è più molto presente nella nostra società. Sarà l'unica possibilità praticata se la degenerazione democratica diffonderà il disagio e la disperazione tra ampi strati della società ma in tal caso né sarà legata solo ai temi del pacifismo né, sicuramente, assumerà le sue modalità.

La seconda strada, che non esclude la prima ed è a prima vista più complessa, affronta ad un livello più basso i meccanismi decisionali. Dai tempi della rivoluzione francese, che ha enunciato (ma ha anche in parte ottenuto) che ogni cittadino ha il diritto/dovere di partecipare alle decisioni che lo riguardano, imponendo un modello rappresentativo parlamentare, i modelli decisionali si sono modificati molto poco, nonostante sempre di più siano evidenti le debolezze che l'usura di tale modello ha fatto emergere. Sono anche stati tentati altri modelli, che sono degenerati ancora più velocemente, in cui cambiava il gruppo sociale predominante, ma alla fine il modello rappresentativo parlamentare viene dato da tutti come inesorabilmente il meno peggio.

In effetti, quando una prima fase dell'esperienza democratica finì con il periodo delle dittature europee e le guerre mondiali, si cercò di rivederla e migliorarla, per esempio con il suffragio universale, ma col tempo i sistemi sociali tendono a corrompersi perché gli aggressori diventano sempre più competenti e le difese tendono a indebolirsi. E così nuovamente ci troviamo con dei sistemi parlamentari in cui sempre meno cittadini si sentono rappresentati e sentono di influire sulle decisioni che li riguardano.

Penso sia necessario che, soprattutto noi europei che abbiamo esportato questo modello in tutto il mondo, perfino in contesti sociali in cui ha creato più danni che benefici, e che ci ergiamo a paladini di questo modello verso tutto il mondo pretendendo che tutti gli altri vi si uniformino, cominciamo a riflettere, senza preconcetti, sul suo superamento o almeno il suo restauro, non solo in linea teorica ma anche pensando a come realizzare tale miglioramento. Questo significa cominciare a sperimentare nuovi modelli decisionali, prima di tutto all'interno di chi li propone, e poi pensare dei percorsi che permettano con gli anni di farli diventare patrimonio comune. E sarebbe auspicabile riuscire a fare ciò senza dover aspettare che la caduta di efficacia delle dinamiche democratiche porti alla catastrofe umana e sociale e ecologica del mondo.

Penso che sia necessario perché non solo le istanze pacifiste ma anche tutti gli altri temi non rimangano semplici proposte teoriche che nessun sistema decisionale arriverà a attuare. Da questo punto di vista dall'ambito pacifista potrebbero venire un notevole contributo non solo di idee ma anche di esperienze, facendo in modo, per esempio, che il 61% degli italiani che non vogliono la presenza di soldati italiani negli scenari di guerra vedano realizzate le loro aspettative.

Si tratterebbe di ripensare ai meccanismi della rappresentanza e della partecipazione, tenendo conto della sempre più ridotta disponibilità delle persone a rimetterci del proprio per il bene comune ma allo stesso tempo di un recupero culturale della nozione di bene comune.

Probabilmente sarebbe utile seguire entrambe le strade perché limitarsi a riflettere sulla revisione dei meccanismi consensuali senza impegnarsi a recuperare almeno un livello di partecipazione e coinvolgimento sarebbe probabilmente solo un esercizio accademico. D'altra parte limitarsi ad affidarsi all'azione diretta, a parte i problemi di coinvolgimento, costringerebbe ad un tale impegno di energie e di tempo che permetterebbe di affrontare solo un numero molto ristretto di argomenti, abbandonando inefficacemente gli altri ai meccanismi democratici attuali.

Carlo Schenone.

ex incaricato nazionale del settore Pace, Nonviolenza e Solidarietà degli scout dell'AGESCI, ex capogruppo di "Democrazia e Partecipazione" nel Consiglio Comunale di Genova, ex segretario nazionale delle Forze Nonviolente di Pace, docente al Master "Gestione dei conflitti interculturali ed interreligiosi" dell'Università di Pisa, docente al corso di Laurea Specialistica in Scienze della Pace dell'Università di Pisa, membro del gruppo stampa del Genoa Social Forum durante il G8 di Genova, trainer.

pubblicato su www.carta.org il 16.08.2006

http://archivio.carta.org/campagne/pace/pacifismo/060816Schenone.htm

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